CHE FUTURO CI ATTENDE?
IL NUOVO PROTOCOLLO MINISTERIALE “LIBERA TUTTI”
Nelle guerre tradizionali le tregue vengono utilizzate per “sotterrare i morti e rafforzare le difese”: nel nostro strano Paese la tregua concessaci dal virus per qualche mese è stata utilizzata per bruciare i morti e mandare tutti al mare. Ora che si ritorna in trincea a cosa si andrà incontro? Che interventi strutturali, organizzativi e legislativi sono stati messi in campo o saranno posti a tutela della salute di chi è esposto al pericolo di infezioni? La confusione tra le leggi e le circolari che le abrogano è tanta ed espone i lavoratori ad un’arbitrarietà di interpretazioni senza precedenti.
Mantenendo la calma e facendo ordine, il primo elemento imprescindibile alla base del nostro status di lavoratori pubblici è che ogni disposizione che concede, modifica od abroga le modalità ed i tempi del lavoro di ogni dipendente deve essere rigorosamente formalizzato con una disposizione scritta e firmata (va bene anche una mail) dal dirigente (quello che ci firma le ferie), meglio se dal prefetto o dal questore.
Secondo elemento è che qualsiasi situazione che si ritiene fondatamente pericolosa per la salute sia per effetto delle disposizioni su accennate che per carenze strutturali degli ambienti nei quali si svolge il lavoro, vanno scritte e prontamente segnalate al dirigente (sempre quello che ci firma le ferie) conservando con cura la nota inviata o recapitata. Questi due passaggi sono essenziali per individuare eventuali responsabilità, omissioni o leggerezze nel deprecabile caso di un contagio colposo a danno dei lavoratori.
Con tali premesse, l’Amministrazione intende rimestare nel calderone delle responsabilità chiamando di nuovo a raccolta tutti i sindacati per firmare un’ “Integrazione al Protocollo di accordo per la prevenzione e la sicurezza in ordine all’emergenza sanitaria da Covid-19”. E questo mentre ci giungono notizie di uffici “affollati”, sportelli non adeguatamente predisposti a contrastare l’infezione, ricezione di pubblico sotto i portoni, riunioni di servizio che ignorano le norme di sicurezza ecc., come se il virus tenesse conto della “specialità delle nostre funzioni” chiudendo un occhio sulle sue modalità di contagio.
Ancora una volta lo ribadiamo a gran voce e più convinti che mai che le disposizioni vanno emanate dal centro con chiarezza e nessuna possibilità di interpretazione dalla periferia. Disposizioni a cui tutti si devono attenere a partire dai prefetti e dai questori per finire agli ultimi della catena, al di là di protocolli che servono solo a “fare ammuina”, a rinvigorire sindacati inutili e a diluire responsabilità di chi non è all’altezza di gestire la situazione.
Da tutto questo bailamme abbiamo dedotto con certezza che la situazione di emergenza sarà prorogata fino al 31 dicembre 2020 e con essa la fruizione del lavoro in modalità Smart Working che è ben diverso dal “lavoro agile” inteso dal legislatore; che i colleghi ammessi su loro richiesta a tale fruizione vanno scelti tra chi fa un lavoro effettivamente gestibile a distanza (al di là di indifferibile e differibile) a seguito di una mappatura locale; che il numero massimo dei lavoratori posti in lavoro remoto può essere al 50% della pianta organica e che, pertanto, dovranno alternarsi giornalmente, settimanalmente o mensilmente.
Nel frattempo il consiglio che ci sentiamo di darvi è quello di fare molta attenzione a dove mettete le mani, di curare al massimo la vostra integrità prendendo scrupolosamente ogni nota precauzione e di rifiutarvi di esporvi al sicuro contagio. In questa subdola e tremenda guerra siamo in prima linea e se ci ammaliamo purtroppo subiamo anche la mortificazione burocratica da parte di chi o non sa o non ha il coraggio di applicare le leggi, per esempio arrivando a far gravare l’assenza da contagio, con tutte le gravissime ripercussioni sulla salute, sul cumulo dei congedi per malattia. Come dire “sulla scottatura mettiamoci anche l’acqua calda”.